Cappella Piacentini
Pio Piacentini, architetto (Roma 5 settembre 1846 – 4 aprile 1928); Marcello Piacentini, architetto (Roma 8 dicembre 1881 – 19 maggio 1960)
Rupe Caracciolo, arcata 22
Nella semplice cappella con ingresso ad arco, scavata nella Rupe Caracciolo, riposano gli architetti Pio – padre – e Marcello – figlio – Piacentini.
Pio Piacentini, architetto romano formatosi all’Accademia di San Luca, è noto, nella Capitale, soprattutto come autore del Palazzo delle Esposizioni a Via Nazionale, edificio nato come molti altri dello stesso periodo, per rispondere all’esigenza di dotare la città di tutte le strutture necessarie a svolgere degnamente il ruolo di nuova capitale. Il progetto di Piacentini vinse il secondo concorso indetto per la sede del museo, primo edificio in Italia totalmente dedicato alle Belle Arti. Il progetto, non marcatamente segnato dall’eclettismo come altri contemporanei, ma impostato piuttosto intorno a richiami classicisti, come il modello dell’arco di trionfo e l’uso di lesene a scandire la superficie, è molto attento alla gestione della luce, che piove negli ambienti dalle coperture in acciaio e vetro, evitando finestre sulle pareti che avrebbero limitato le superfici per l’esposizione delle opere. I caratteri decorativi assicurano la monumentalità dell’edificio, che si inserisce nel tessuto urbano attraverso una lunga scalinata.
Dopo l’esercitazione in stile neocinquecentesco della facciata di Palazzo Sforza Cesarini su Corso Vittorio Emanuele (1886-88), Pio Piacentini si occupò della costruzione del Ministero di Grazia e Giustizia (1913-32). Inserendosi nel dibattito sullo stile nazionale, da adottare per la costruzione degli edifici rappresentativi, e facendo eco alle problematiche relative agli interventi nei centri storici che cominciavano ad affacciarsi sulla scena romana, l’architetto progettò un edificio basato sul rispetto del tessuto urbano circostante, che mostra in ogni facciata uno stile appropriato al dialogo con il contesto. L’edificio rinuncia quindi ad ogni simmetria e anche all’idea di esprimere il proprio stile attraverso la facciata principale, creando un insieme di episodi singoli anche in scarso dialogo fra loro ma sicuramente non invasivi nei confronti dell’ambiente circostante.
All’inizio della sua attività, Marcello Piacentini si attesta su posizioni almeno parzialmente concordi con quelle di Gustavo Giovannoni, Giovan Battista Giovenale e Antonio Munoz, all’interno dell’Associazione Artistica fra i Cultori di Architettura, riguardo alla necessità di correggere i metodi fino ad allora usati nella gestione architettonica della città di Roma, portati avanti senza nessun riguardo per gli edifici dell’antichità. Incaricato nel 1914 della stesura del piano definitivo per la sistemazione urbanistica di Bergamo alta, propone una zona di nuova edificazione nell’area della vecchia fiera, che si affianca alla città antica senza sovrapporsi ad essa, progettando una piazza che svolga un ruolo di collegamento fra le due realtà. Simile accento hanno le sue prime prese di posizione riguardo a Roma, per cui dichiara, nel 1916, l’opportunità di “lasciare la città vecchia dove si trova e sviluppare altrove la nuova”, esasperando in senso conservativo le indicazioni giovannoniane basate sul principio del diradamento edilizio, che suggeriva piccoli interventi nel tessuto storico per riportarlo a condizioni igieniche e ambientali ottimali, prossime a quelle originarie. Il cambiamento di prospettiva di Piacentini, a partire dalla metà degli anni venti, lo porterà a scavalcare nel senso opposto le stesse teorie con gli interventi nel centro di Brescia, progettati e attuati dal 1928. In questo caso, infatti, numerosi interventi di distruzione del tessuto urbanistico del nucleo storico saranno attuati con lo scopo di installare un nuovo centro monumentale, in grado di rispondere alle esigenze funzionali e di fornire un’immagine rappresentativa del nuovo potere.
A Roma, già dagli anni Venti esistevano progetti per isolare il Campidoglio o per operare distruzioni nel centro storico per adeguarlo alle nuove esigenze rappresentative. Marcello Piacentini fu coordinatore del Piano Regolatore Generale della Città di Roma del 1931, che rappresentò un compromesso fra gli incentivi all’iniziativa privata e gli interventi statali, realizzati come opere di regime. La situazione politica particolare dopo l’avvento del Fascismo, unita alla crisi economica dell’edilizia romana e alla preoccupazione di far posto al traffico crescente, portarono alla stesura di un piano in cui erano previsti notevoli interventi di cosiddetta liberazione del centro storico, per dare spazio alla retorica monumentale degli architetti, in aperta contrapposizione con quanto veniva proposto, negli stessi anni, da Gustavo Giovannoni. Fortunatamente la maggior parte degli interventi previsti a Roma dal piano del 1931 non furono eseguiti, ma le demolizioni eseguite intorno alla Mole Augustea, la distruzione del quartiere di via Alessandrina per l’apertura di via dei Fori Imperiali e la sistemazione di piazza Venezia, sollecitarono non poche riflessioni sulla necessità di operare per la salvaguardia dei centri storici.
Inoltre in deroga allo stesso Piano Regolatore Generale del 1931, Piacentini fu incaricato della sistemazione dell’attuale Via della Conciliazione (1936). Fu attuata la distruzione della cosiddetta spina dei borghi, un insieme di fabbricati che separava le due strette vie, Borgo Vecchio e Borgo Nuovo, attraverso cui si accedeva, improvvisamente e senza preavviso monumentale di alcun genere, nell’ampio spazio colonnato di Piazza San Pietro.
A partire dal 1937, infine, l’architetto è impegnato nelle vicende relative al quartiere dell’EUR. Il regime intendeva celebrare il ventesimo anniversario della rivoluzione fascista, nel 1942, con una esposizione universale che non avrà luogo a causa del sopraggiungere della guerra, ma che portò alla realizzazione di edifici, infrastrutture e servizi tali da costituire, anche nelle intenzioni degli organizzatori, l’inizio dell’espansione della città verso il mare. Piacentini fu coinvolto dall’inizio nella stesura del piano e impose un linguaggio monumentale e celebrativo che non lasciava spazio reale all’iniziativa degli architetti coinvolti, piegando alla monumentalità classicista anche architetti come Adalberto Libera, autore del Palazzo dei Congressi, affermato interprete del linguaggio razionalista.
Vastissima è l’opera di Piacentini in campo edilizio particolarmente a Roma: cinematografi (oltre al Corso, il Sistina, 1955-60), teatri (adattamento del teatro dell'Opera, del Quirino), pubblici edifici (palazzo Pio XII, palazzo del ministero delle Corporazioni, ora dell'Industria e Commercio, 1928-31),chiese, università (sistemazione generale della Città Universitaria, 1932-35).
Pio Piacentini, architetto (Roma 5 settembre 1846 – 4 aprile 1928); Marcello Piacentini, architetto (Roma 8 dicembre 1881 – 19 maggio 1960)
Rupe Caracciolo, arcata 22
Nella semplice cappella con ingresso ad arco, scavata nella Rupe Caracciolo, riposano gli architetti Pio – padre – e Marcello – figlio – Piacentini.
Pio Piacentini, architetto romano formatosi all’Accademia di San Luca, è noto, nella Capitale, soprattutto come autore del Palazzo delle Esposizioni a Via Nazionale, edificio nato come molti altri dello stesso periodo, per rispondere all’esigenza di dotare la città di tutte le strutture necessarie a svolgere degnamente il ruolo di nuova capitale. Il progetto di Piacentini vinse il secondo concorso indetto per la sede del museo, primo edificio in Italia totalmente dedicato alle Belle Arti. Il progetto, non marcatamente segnato dall’eclettismo come altri contemporanei, ma impostato piuttosto intorno a richiami classicisti, come il modello dell’arco di trionfo e l’uso di lesene a scandire la superficie, è molto attento alla gestione della luce, che piove negli ambienti dalle coperture in acciaio e vetro, evitando finestre sulle pareti che avrebbero limitato le superfici per l’esposizione delle opere. I caratteri decorativi assicurano la monumentalità dell’edificio, che si inserisce nel tessuto urbano attraverso una lunga scalinata.
Dopo l’esercitazione in stile neocinquecentesco della facciata di Palazzo Sforza Cesarini su Corso Vittorio Emanuele (1886-88), Pio Piacentini si occupò della costruzione del Ministero di Grazia e Giustizia (1913-32). Inserendosi nel dibattito sullo stile nazionale, da adottare per la costruzione degli edifici rappresentativi, e facendo eco alle problematiche relative agli interventi nei centri storici che cominciavano ad affacciarsi sulla scena romana, l’architetto progettò un edificio basato sul rispetto del tessuto urbano circostante, che mostra in ogni facciata uno stile appropriato al dialogo con il contesto. L’edificio rinuncia quindi ad ogni simmetria e anche all’idea di esprimere il proprio stile attraverso la facciata principale, creando un insieme di episodi singoli anche in scarso dialogo fra loro ma sicuramente non invasivi nei confronti dell’ambiente circostante.
All’inizio della sua attività, Marcello Piacentini si attesta su posizioni almeno parzialmente concordi con quelle di Gustavo Giovannoni, Giovan Battista Giovenale e Antonio Munoz, all’interno dell’Associazione Artistica fra i Cultori di Architettura, riguardo alla necessità di correggere i metodi fino ad allora usati nella gestione architettonica della città di Roma, portati avanti senza nessun riguardo per gli edifici dell’antichità. Incaricato nel 1914 della stesura del piano definitivo per la sistemazione urbanistica di Bergamo alta, propone una zona di nuova edificazione nell’area della vecchia fiera, che si affianca alla città antica senza sovrapporsi ad essa, progettando una piazza che svolga un ruolo di collegamento fra le due realtà. Simile accento hanno le sue prime prese di posizione riguardo a Roma, per cui dichiara, nel 1916, l’opportunità di “lasciare la città vecchia dove si trova e sviluppare altrove la nuova”, esasperando in senso conservativo le indicazioni giovannoniane basate sul principio del diradamento edilizio, che suggeriva piccoli interventi nel tessuto storico per riportarlo a condizioni igieniche e ambientali ottimali, prossime a quelle originarie. Il cambiamento di prospettiva di Piacentini, a partire dalla metà degli anni venti, lo porterà a scavalcare nel senso opposto le stesse teorie con gli interventi nel centro di Brescia, progettati e attuati dal 1928. In questo caso, infatti, numerosi interventi di distruzione del tessuto urbanistico del nucleo storico saranno attuati con lo scopo di installare un nuovo centro monumentale, in grado di rispondere alle esigenze funzionali e di fornire un’immagine rappresentativa del nuovo potere.
A Roma, già dagli anni Venti esistevano progetti per isolare il Campidoglio o per operare distruzioni nel centro storico per adeguarlo alle nuove esigenze rappresentative. Marcello Piacentini fu coordinatore del Piano Regolatore Generale della Città di Roma del 1931, che rappresentò un compromesso fra gli incentivi all’iniziativa privata e gli interventi statali, realizzati come opere di regime. La situazione politica particolare dopo l’avvento del Fascismo, unita alla crisi economica dell’edilizia romana e alla preoccupazione di far posto al traffico crescente, portarono alla stesura di un piano in cui erano previsti notevoli interventi di cosiddetta liberazione del centro storico, per dare spazio alla retorica monumentale degli architetti, in aperta contrapposizione con quanto veniva proposto, negli stessi anni, da Gustavo Giovannoni. Fortunatamente la maggior parte degli interventi previsti a Roma dal piano del 1931 non furono eseguiti, ma le demolizioni eseguite intorno alla Mole Augustea, la distruzione del quartiere di via Alessandrina per l’apertura di via dei Fori Imperiali e la sistemazione di piazza Venezia, sollecitarono non poche riflessioni sulla necessità di operare per la salvaguardia dei centri storici.
Inoltre in deroga allo stesso Piano Regolatore Generale del 1931, Piacentini fu incaricato della sistemazione dell’attuale Via della Conciliazione (1936). Fu attuata la distruzione della cosiddetta spina dei borghi, un insieme di fabbricati che separava le due strette vie, Borgo Vecchio e Borgo Nuovo, attraverso cui si accedeva, improvvisamente e senza preavviso monumentale di alcun genere, nell’ampio spazio colonnato di Piazza San Pietro.
A partire dal 1937, infine, l’architetto è impegnato nelle vicende relative al quartiere dell’EUR. Il regime intendeva celebrare il ventesimo anniversario della rivoluzione fascista, nel 1942, con una esposizione universale che non avrà luogo a causa del sopraggiungere della guerra, ma che portò alla realizzazione di edifici, infrastrutture e servizi tali da costituire, anche nelle intenzioni degli organizzatori, l’inizio dell’espansione della città verso il mare. Piacentini fu coinvolto dall’inizio nella stesura del piano e impose un linguaggio monumentale e celebrativo che non lasciava spazio reale all’iniziativa degli architetti coinvolti, piegando alla monumentalità classicista anche architetti come Adalberto Libera, autore del Palazzo dei Congressi, affermato interprete del linguaggio razionalista.
Vastissima è l’opera di Piacentini in campo edilizio particolarmente a Roma: cinematografi (oltre al Corso, il Sistina, 1955-60), teatri (adattamento del teatro dell'Opera, del Quirino), pubblici edifici (palazzo Pio XII, palazzo del ministero delle Corporazioni, ora dell'Industria e Commercio, 1928-31),chiese, università (sistemazione generale della Città Universitaria, 1932-35).
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