Cappella Koch
Gaetano Koch, architetto (Roma 9 gennaio 1849 – 14 maggio 1910)
Pincetto Nuovo, riquadro 68
Cappella Koch (Gaetano Koch)
La tomba di famiglia dell’architetto romano Gaetano Koch, è una raffinata piccola cappella in stile neo-romanico, a pianta quadrata. Tutta la facciata principale è occupata da un protiro in travertino con colonnine in granito grigio e capitello corinzio che sorreggono l’arco coperto a spioventi. Una ricca cornice a dentelli e palmette corona l’insieme, mentre il portale presenta un accenno di strombatura con colonnine accostate. Nell’arco sopra la porta di ingresso si trovava un rilievo in terracotta smaltata adesso scomparso. Sulle altre facciate, a ricorsi alternati di laterizi e travertino, si ripete il motivo del coronamento a spioventi del protiro, arricchito da acroteri con croci scolpite. Sulle facciate laterali sono presenti aperture traforate a forma di croce. La parte superiore dell’edificio è costituita da un tiburio a otto lati che ingloba la copertura, con un basamento liscio a mattoncini e una parte superiore ad archi e colonnine, chiusa da una cornice a dentelli.
Analogamente alle altre sue opere edificate al Verano, la Cappella di famiglia non può essere considerata pienamente rappresentativa dello stile architettonico di Gaetano Koch, architetto romano che a Roma diede il volto che oggi è a noi familiare. Fu infatti uno dei protagonisti, piuttosto con le sue opere che con astratte dichiarazioni di intenti, dell’acceso dibattito che si sviluppò, a partire dagli ultimi anni dell’Ottocento, intorno al nuovo stile nazionale da adottare anche per trasformare Roma nella nuova Capitale d’Italia. “Grosso costruttore senza il genio della personalità” a detta di Marcello Piacentini, Gaetano Koch fu un professionista affidabile e rigoroso nella progettazione e nella direzione dei numerosi cantieri a lui affidati. Scelse come stile appropriato per dare un volto alla nuova città che si andava formando il Neocinquecentismo, abbracciandolo come una fede dalla quale non si discostò praticamente mai. Fermamente contrario a qualsiasi forma di eclettismo, compose le sue facciate, spesso simili fra loro, sempre con grande armonia e proporzione, utilizzando cornici modanate, fasce ed altri elementi di ornato con una ricchezza di particolari proporzionale all’importanza dell’edificio. Negli spazi interni, fu un progettista capace di adattare l’estetica alle nuove regole distributive che si andavano precisando in quegli anni.
Una delle prime opere realizzate dall’architetto nella Capitale furono i palazzi porticati dei lati lunghi di Piazza Vittorio Emanuele II, nel 1882, dove evidenziò subito una buona capacità di gestire la distribuzione interna degli spazi. Seguirono numerosi incarichi, come quello del 1886 per la realizzazione del Palazzo Boncompagni Ludovisi in via Veneto, attuale Palazzo Margherita, emblema del suo stile architettonico con cui riprese, in forma più aulica e monumentale, l’impostazione e lo stile della precedente residenza dei committenti, il tardo cinquecentesco palazzo Piombino a piazza Colonna, oggi non più esistente.
Nel caso degli edifici semicircolari di Piazza Esedra, realizzati da Koch fra il 1887 e il 1898, il profilo della costruzione ricalca quello dell’esedra delle antiche terme di Diocleziano, di cui faceva parte anche l’attuale chiesa di Santa Maria degli Angeli, sull’altro lato della Piazza. Egli scelse di utilizzare anche in questo caso delle facciate porticate, che assolsero la funzione monumentale necessaria a sottolineare l’imbocco di via Nazionale.
Koch non partecipò mai a concorsi pubblici. Il progetto per la sede della Banca d’Italia fu commissionato dalla Banca Nazionale direttamente a quelli che venivano ritenuti gli architetti di maggiore fama del momento. Oltre a Gaetano Koch, vennero prescelti Pio Piacentini, già vincitore del Concorso per il Palazzo delle Esposizioni e Francesco Azzurri, che rinunciò. La scelta fra i due progetti si rivelò molto difficile per la commissione, di cui faceva parte anche Camillo Boito. Alla fine fu preferito quello di Koch perché nel suo progetto la distribuzione interna degli spazi appariva innovativa e pienamente soddisfacente. La facciata in travertino è movimentata da leggeri arretramenti e aggetti, tutti coerenti con il ritmo imposto dalla scansione delle finestre. Il bugnato della base dell’edificio, saldamente ancorato al suolo e isolato da un vero e proprio fossato che permette, tra l’altro, di dare luce agli ambienti interrati, si alleggerisce nei piani superiori. La decorazione, negli interni, appare a misura d’uomo e di altissima qualità artigianale, sebbene i lavori venissero completati, in soli quattro anni, nel 1892.
Gaetano Koch, architetto (Roma 9 gennaio 1849 – 14 maggio 1910)
Pincetto Nuovo, riquadro 68
Cappella Koch (Gaetano Koch)
La tomba di famiglia dell’architetto romano Gaetano Koch, è una raffinata piccola cappella in stile neo-romanico, a pianta quadrata. Tutta la facciata principale è occupata da un protiro in travertino con colonnine in granito grigio e capitello corinzio che sorreggono l’arco coperto a spioventi. Una ricca cornice a dentelli e palmette corona l’insieme, mentre il portale presenta un accenno di strombatura con colonnine accostate. Nell’arco sopra la porta di ingresso si trovava un rilievo in terracotta smaltata adesso scomparso. Sulle altre facciate, a ricorsi alternati di laterizi e travertino, si ripete il motivo del coronamento a spioventi del protiro, arricchito da acroteri con croci scolpite. Sulle facciate laterali sono presenti aperture traforate a forma di croce. La parte superiore dell’edificio è costituita da un tiburio a otto lati che ingloba la copertura, con un basamento liscio a mattoncini e una parte superiore ad archi e colonnine, chiusa da una cornice a dentelli.
Analogamente alle altre sue opere edificate al Verano, la Cappella di famiglia non può essere considerata pienamente rappresentativa dello stile architettonico di Gaetano Koch, architetto romano che a Roma diede il volto che oggi è a noi familiare. Fu infatti uno dei protagonisti, piuttosto con le sue opere che con astratte dichiarazioni di intenti, dell’acceso dibattito che si sviluppò, a partire dagli ultimi anni dell’Ottocento, intorno al nuovo stile nazionale da adottare anche per trasformare Roma nella nuova Capitale d’Italia. “Grosso costruttore senza il genio della personalità” a detta di Marcello Piacentini, Gaetano Koch fu un professionista affidabile e rigoroso nella progettazione e nella direzione dei numerosi cantieri a lui affidati. Scelse come stile appropriato per dare un volto alla nuova città che si andava formando il Neocinquecentismo, abbracciandolo come una fede dalla quale non si discostò praticamente mai. Fermamente contrario a qualsiasi forma di eclettismo, compose le sue facciate, spesso simili fra loro, sempre con grande armonia e proporzione, utilizzando cornici modanate, fasce ed altri elementi di ornato con una ricchezza di particolari proporzionale all’importanza dell’edificio. Negli spazi interni, fu un progettista capace di adattare l’estetica alle nuove regole distributive che si andavano precisando in quegli anni.
Una delle prime opere realizzate dall’architetto nella Capitale furono i palazzi porticati dei lati lunghi di Piazza Vittorio Emanuele II, nel 1882, dove evidenziò subito una buona capacità di gestire la distribuzione interna degli spazi. Seguirono numerosi incarichi, come quello del 1886 per la realizzazione del Palazzo Boncompagni Ludovisi in via Veneto, attuale Palazzo Margherita, emblema del suo stile architettonico con cui riprese, in forma più aulica e monumentale, l’impostazione e lo stile della precedente residenza dei committenti, il tardo cinquecentesco palazzo Piombino a piazza Colonna, oggi non più esistente.
Nel caso degli edifici semicircolari di Piazza Esedra, realizzati da Koch fra il 1887 e il 1898, il profilo della costruzione ricalca quello dell’esedra delle antiche terme di Diocleziano, di cui faceva parte anche l’attuale chiesa di Santa Maria degli Angeli, sull’altro lato della Piazza. Egli scelse di utilizzare anche in questo caso delle facciate porticate, che assolsero la funzione monumentale necessaria a sottolineare l’imbocco di via Nazionale.
Koch non partecipò mai a concorsi pubblici. Il progetto per la sede della Banca d’Italia fu commissionato dalla Banca Nazionale direttamente a quelli che venivano ritenuti gli architetti di maggiore fama del momento. Oltre a Gaetano Koch, vennero prescelti Pio Piacentini, già vincitore del Concorso per il Palazzo delle Esposizioni e Francesco Azzurri, che rinunciò. La scelta fra i due progetti si rivelò molto difficile per la commissione, di cui faceva parte anche Camillo Boito. Alla fine fu preferito quello di Koch perché nel suo progetto la distribuzione interna degli spazi appariva innovativa e pienamente soddisfacente. La facciata in travertino è movimentata da leggeri arretramenti e aggetti, tutti coerenti con il ritmo imposto dalla scansione delle finestre. Il bugnato della base dell’edificio, saldamente ancorato al suolo e isolato da un vero e proprio fossato che permette, tra l’altro, di dare luce agli ambienti interrati, si alleggerisce nei piani superiori. La decorazione, negli interni, appare a misura d’uomo e di altissima qualità artigianale, sebbene i lavori venissero completati, in soli quattro anni, nel 1892.
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