Cappella Franchi

Cappella Franchi

Duilio Cambellotti pittore, scultore, illustratore (Roma 10 maggio 1876 – 31 gennaio 1960)

Piazzale Circolare, riquadro 6

"Angelo delle tenebre", vetrata (Duilio Cambellotti, 1921)
“Redentore”, mosaico (Duilio Cambellotti)

La cappella Franchi ha un impianto modernista ed eclettico, con una copertura a cupola emisferica di sapore arabeggiante e una struttura di volumi in travertino a incastro, tra il tamburo e la cupola circolari sul corpo squadrato, coronato ai vertici del fronte principale da due bracieri. La decorazione della cappella è costituita da due opere pregevoli di Duilio Cambellotti. Nella lunetta sopra il portale è un mosaico del “Redentore” con tessere ampie e ordinate in modo da sottolineare e tradurre il segno modernista dell’illustratore. Analoga funzione svolge la legatura a piombo che incornicia i tasselli di vetro dello splendido “Angelo delle tenebre” all’interno. La vetrata, di cui si conserva il disegno di progetto presso il Museo Cambellotti di Latina, è un esempio significativo di quel rinnovamento del linguaggio artistico, che all’inizio del secolo e in un contesto extra-accademico, trovò un appropriato strumento espressivo nel mosaico di taches di vetro legato a piombo. L’antica sapienza artigianale, caduta in disuso nel corso del Quattrocento e sostituita dalla vetrata “dipinta a gran fuoco”, veniva recuperata perchè funzionale alla traduzione del segno contemporaneo, sintetizzando emblematicamente la tecnica medievale e lo stile modernista.

Duilio Cambellotti frequentò il liceo artistico industriale, sotto la guida di Alessandro Morani e di Raffaello Ojetti, specializzandosi in cesellatura in metallo. Si inserì presto nell'ambiente artistico romano di più aperta avanguardia e più profondamente impegnato nelle problematiche estetico-sociali, dedicandosi alle arti applicate e attivo come cartellonista pubblicitario, illustratore di libri, giornali e riviste.
Nel 1904 entrò a far parte del gruppo i "XXV della Campagna romana", fondato da P. Ferretti, producendo una serie di paesaggi.
Tra il 1905 e il 1908 fece le prime scenografie, preparando tra l'altro quelle per la Nave di D'Annunzio al Teatro Argentina. Dal 1913 divenne il principale scenografo degli spettacoli nel teatro greco di Siracusa, ideando fino al 1939 tutte le scene e i costumi, e molti manifesti, per le rappresentazioni classiche del Comitato (poi Istituto) del dramma antico.
Nel frattempo aveva avviato anche una collaborazione con il cinema, preparando scene e costumi per numerosi spettacoli importanti, tra cui Frate sole (1918), Gli ultimi giorni di Pompei (1926).
Non trascurava parallelamente di produrre pitture e sculture autonome, con opere ispirate per lo più a temi sociali (come il polittico L'Altare, ammirato da Massimo Gorkij nel 1908) e a simbologie rurali e contadine. Infine, sviluppando gli interessi per i problemi dell'arredamento in connessione con l'architettura, nell'impegno di dar luogo ad abitazioni economiche ma esteticamente dignitose, pubblicava nella rivista La casa del 1908 una serie di progetti.
Dal 1911 interveniva nell'impresa delle scuole dell'Agro romano, teorizzata e promossa da Angelo Celli, Giovanni Cena e Alessandro Marcucci e allestì, con Giacomo Balla, la mostra delle scuole dell'Agro tenutasi a Roma (Valle Giulia) nel 1911 nell'ambito delle manifestazioni per il cinquantenario dell'Unità.
Nel 1912, con Bottazzi e Vittorio Grassi, organizzò la prima mostra della vetrata, il mezzo espressivo che gli sarebbe divenuto sempre più consueto.
La multiforme attività di Cambellotti rende arduo un giudizio complessivo sulla sua opera. Nelle pitture giovanili si avverte la libera utilizzazione della tecnica e del gusto divisionisti, mentre gli oggetti sono ispirati a un personale, secco liberty. La difficoltà a trovare un discorso espressivo che traduca direttamente il suo credo rivoluzionario e il suo sostanziale rifiuto – malgrado il precoce sodalizio con Balla e Boccioni - verso il linguaggio futurista, presto prevalente, contribuiscono a raggelarlo in una situazione espressiva senza sbocco, al margine dei maggiori movimenti artistici.

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