Cappella Donati-Sacconi

Cappella Donati-Sacconi

Giuseppe Sacconi, architetto (Montalto/AP 5 luglio 1854 – Collegigliato/PT 23 settembre 1905), Giovanni Battista Giovenale, architetto (Roma 11 novembre 1849 – 23 settembre 1934)
Pincetto Nuovo, riquadro 68

Cappella Donati-Sacconi (Giovanni Battista Giovenale, post 1908)

La Cappella Donati-Sacconi rappresenta un vero e proprio omaggio all’attività professionale dell’architetto in essa sepolto. Il parallelepipedo, a pianta quadrata è costruito in blocchi squadrati di marmo di Botticino e coronato da quattro frontoni triangolari con acroteri stilizzati. Un alto basamento liscio circonda il piccolo edificio, interrompendosi solo in corrispondenza della porta, ai cui lati sono scolpiti due rami di ulivo. La facciata principale è decorata, sotto la targa con l’intestazione della Cappella, da tre corone di alloro in altorilievo, sorrette da piccole mensole aggettanti, mentre le facciate laterali presentano tre aperture verticali traforate con disegni geometrici. La costruzione presenta notevoli richiami all’arte di Giuseppe Sacconi, non solo per l’impiego di un materiale, il marmo di Botticino, che è lo stesso utilizzato dall’architetto per la sua opera più importante, il Vittoriano, ma anche per il ricorso ad un linguaggio architettonico severo e ispirato all’antichità, senza concessioni al decorativismo o alla commistione di stili.

Questo stile era peraltro estraneo a quello dell’autore, Giovanni Battista Giovenale, uno degli artefici del rinnovamento di Roma Capitale in senso neo-cinquecentesco. Architetto, storico dell’architettura e restauratore, Giovenale è legato al restauro della chiesa di S. Maria in Cosmedin (1896-99), condotto con grande rigore filologico. La fase progettuale (il progetto fu premiato all'Esposizione di architettura di Torino del 1893) costituì il manifesto del cosiddetto "restauro scientifico", secondo il quale l'indicazione metodologica di intervento doveva essere dedotta in maniera univoca dall'analisi della formazione del monumento, e attuata rendendo i rifacimenti e le eventuali aggiunte individuabili in ogni tempo. Da tali premesse scaturì, del tutto in antitesi con la raffinata tradizione romana di Giuseppe Valadier e di Raffaele Stern, la scelta di abbattere la facciata settecentesca della chiesa, eseguita da Giuseppe Sardi per il cardinale Annibale Albani, in favore del ripristino della facies del XII secolo: decisione ritenuta oggi oltremodo drastica.

L’attività professionale di Giuseppe Sacconi ruotò praticamente tutta attorno alla costruzione del Monumento a Vittorio Emanuele II, che lo occupò dal 1882, anno del concorso nazionale per il monumento, fino alla morte, avvenuta nel 1905 senza che potesse vedere completata l’opera.
Per la realizzazione del controverso edificio, nato per celebrare il Re che aveva contribuito in prima persona al processo di unificazione dell’Italia, sulla base di una legge del 1878 che stanziava i fondi necessari, fu bandito un concorso mondiale che riscosse molte adesioni; successivamente, sulla base anche del fatto che sembrava più logico affidare la celebrazione del Re d’Italia ad un suo suddito piuttosto che ad uno straniero, ebbe luogo un concorso nazionale vinto dal progetto di Sacconi.
Le prescrizioni del concorso imponevano che l’edificio si localizzasse sull’altura settentrionale del Campidoglio, in asse con Via del Corso, e che fosse di dimensioni tali da coprire la vista degli edifici retrostanti e l’attigua chiesa dell’Ara Coeli. Per la costruzione del monumento, quindi, interi quartieri medievali furono rasi al suolo e vennero distrutti il convento dell’Ara Coeli, la torre di Paolo III e il viadotto che la univa a Palazzetto Venezia. Di fronte all’importanza del re, che doveva essere celebrata con il monumento, le proteste degli archeologi furono ignorate, anche perché l’intera operazione godeva del sostegno ideologico di Camillo Boito, uno dei protagonisti del dibattito contemporaneo sullo stile da adottare per la nuova Capitale e membro della commissione del concorso.
Giuseppe Sacconi, grande studioso di monumenti dell’antichità, in particolar modo della Roma imperiale, si ispirò all’Altare di Pergamo per immaginare uno spazio sopraelevato, una nuova piazza nel cuore di Roma, pensata come un foro aperto ai cittadini. Successivi studi sull’architettura romana, svolti dall’architetto nell’incessante sforzo di non tradire in nessun modo l’ispirazione dell’edificio all’antichità, portarono modifiche in corso d’opera al progetto. A queste si aggiunsero le varianti imposte da problemi tecnici, verificatisi sia per l’inaspettata natura argillosa del colle, che costrinse a consolidamenti e scavi più profondi, sia per la friabilità del marmo Botticino di Brescia, meno resistente del locale travertino e imposto, forse non a caso, come materiale costitutivo dalla legge del 1878, promulgata proprio dal ministro Zanardelli, originario della stessa zona. Alla morte dell’architetto, la direzione dei lavori fu affidata a Manfredo Manfredi, Pio Piacentini e Gaetano Koch, che lo completarono nel rispetto dei principi espressi nel progetto.Nel 1921 il Milite Ignoto è stato tumulato nella cripta a lui dedicata sotto l’Altare della Patria; nel periodo fascista tutta l’area di Piazza Venezia venne utilizzata come sfondo per le manifestazioni di regime e subì altre modifiche urbanistiche che provocarono un ulteriore isolamento del monumento rispetto al contesto, intervenendo con pesanti distruzioni proprio nell’area che aveva costituito la fonte di ispirazione dell’autore.
Giuseppe Sacconi a Roma è autore anche del Palazzo delle Assicurazioni Generali (1902-06), sempre sulla stessa piazza, in cui si adeguò al contesto riproponendo le linee geometriche e la volumetria di Palazzo Venezia, e della tomba di Umberto I al Pantheon.
Al Verano, Sacconi realizzò la tomba Meredith de Thomar (Pincetto vecchio, riquadro 37), in uno stile ispirato all’arte medievale, riproposto in maniera coerente e dettagliata, con una particolare attenzione alla qualità esecutiva dei dettagli.
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