Cappella Castellani

Cappella Castellani

Fortunato Pio Castellani, orafo e antiquario collezionista (Roma 6 maggio 1794- 1 gennaio 1865); Augusto Castellani, orafo, antiquario collezionista, politico (Roma 11 gennaio 1829 – 23 gennaio 1914)
Pincetto Vecchio, tra i riquadri 12, 13 e 25

Alla morte del padre Fortunato Pio, capostipite della grande famiglia di orefici, Augusto costruì la cappella di famiglia, in forma di piccolo pantheon, interamente in laterizi, ma con antefisse antiche. Dei tre protagonisti dell’impresa artistica familiare – Fortunato e due dei suoi tre figli – non è presente nella cappella Alessandro, sepolto in una tomba ad ara romana nel Quadriportico.
Fortunato Pio intrecciò l’attività professionale con la passione per l’archeologia, mettendo a punto procedimenti chimici innovativi per ritrovare la coloritura dei gioielli etruschi, di cui creò esemplari a imitazione degli originali scavati nelle necropoli dell’Etruria. Verso il 1840, con l’aiuto di Michelangelo Caetani, fondò a Roma una scuola per giovani orefici, per il ritorno allo stile e ai metodi di lavoro degli antichi.
Augusto Castellani, dopo aver creduto nella stagione delle riforme all’avvento di Pio IX coltivando la speranza della rinascita nazionale, visse la delusione della chiusura del dialogo da parte del papa ma non sostenne la repubblica romana, sebbene partecipò alla difesa della città dai Francesi. Venne dalle truppe di occupazione portato in carcere e rilasciato grazie all’intervento e all’esborso di denaro del padre. Da allora si dedicò alla conduzione del laboratorio.
Nella lunga storia dei Castellani, Augusto attribuì all’oreficeria - cui pure si dedicò perfezionando tecniche antiche, come la filigrana e la granulazione - un ruolo paritario rispetto al collezionismo e alla promozione culturale delle arti applicate. Direttore del Museo Capitolino dopo la liberazione di Roma, eletto a più riprese nel Consiglio Comunale fino al 1907, Augusto fu consapevole promotore del Museo Artistico Industriale, essendo egli stesso protagonista di una tra le più significative esperienze romane di «Arte nell’industria», come recita il titolo di una sua pubblicazione del 1879.
Nel 1929 il figlio di Augusto, Alfredo rispettando la volontà dei Castellani di lasciare testimonianza dell'attività dei membri della famiglia quali orafi e uomini di cultura legava: all'Archivio di Stato i manoscritti e le carte di famiglia; alla Biblioteca dell'Istituto di archeologia e storia dell'arte i suoi libri, compresa la ricca miscellanea di opuscoli; al Museo artistico industriale tutti i calchi in gesso, i modelli in cera, in metallo, ecc., dei lavori eseguiti nello studio. Unici tra gli orafi di tutti i tempi, i Castellani hanno conservato e lasciato alle collezioni dello Stato una ricca esemplificazione di gioielli creati nel corso della loro lunga attività. Tali gioielli sono ora esposti nel Museo nazionale di Villa Giulia, vicino a quelli antichi, nella volontà di dimostrare la vecchia tradizione della Scuola degli orafi romani.
I Castellani traevano ispirazione per le loro opere principalmente dalle realizzazioni dell'arte etrusca, greca e romana, e il loro gusto era talmente fedele all'arte antica che Augusto trovava di "stile molto decadente" la pala d'oro di S. Marco a Venezia.
Erano orgogliosi di copiare da originali "esistenti" e per quanto riguarda l'antichità etrusca, greca e romana, essi hanno avuto possibilità eccezionali rispetto ai moltissimi e spesso anonimi orafi, gemmari, argentieri del tempo: sia per aver avuto in mano i pezzi della favolosa collezione Campana, che studiarono e restaurarono nel 1859, sia per i consigli e per l'esperienza degli archeologi dell'Istituto di corrispondenza archeologica, che erano mediatori sagaci per l'acquisto di oggetti antichi (gioielli, bronzi, vasi, monete, statue). La loro arte è eclettica come fonte di ispirazione e solo il mondo figurativo egiziano e orientale, allora in gran voga, sembra averli lasciati indifferenti. Alla più appassionata ricerca archeologica per impadronirsi della tecnica etrusca della filigrana e della granulazione - conclusa verso il 1860 - si univano invenzioni e accostamenti nuovi, come l'introduzione del mosaico nell'oreficeria e le iscrizioni in latino e in greco.


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