Giuseppe Emanuele Modigliani.politico e antifascista italiano.(Livorno 1872 – Roma 1947)
Giuseppe Emanuele Modigliani (Livorno 1872 – Roma 1947)
politico e antifascista italiano.
Discendente di una famiglia della borghesia ebraica romana, fratello del pittore Amedeo, durante gli studi universitari (conseguirà una laurea in giurisprudenza) si avvicina al movimento socialista.
Nel 1894 è tra i fondatori della sezione livornese del Partito Socialista Italiano, e in seguito vicino alle posizioni di Filippo Turati.
Il riformismo del Modigliani aveva caratteri originali, distinguendosi da quello che egli definiva «piccolo operaio» legato al mondo sindacale o cooperativo. Pur avendo maturato una significativa esperienza sindacale come organizzatore dei «bottigliai» (nel 1901 condusse la categoria alla conquista del contratto collettivo nazionale, il primo sottoscritto in Italia) il M. assegnava al partito il primato nella rappresentanza degli interessi generali della classe lavoratrice.
Eletto alla Camera il 26 ottobre 1913 nel collegio di Budrio-Molinella, già nel corso della sua prima legislatura il M. emerse come una delle figure di spicco dell’aula, in virtù degli oltre cento interventi svolti e di una perfetta conoscenza del regolamento e delle prerogative parlamentari. La sua voce si levò contro l’impresa libica e quindi contro l’intervento dell’Italia nella guerra mondiale, denunciando le speculazioni affaristiche, gli errori del governo e dei comandi militari e la dura disciplina imposta ai soldati al fronte.Il M. fu uno dei protagonisti delle iniziative pacifiste del movimento socialista europeo.
Il 27 settembre 1914 partecipò alla conferenza socialista italo-svizzera di Lugano, che denunciò la guerra come strumento del capitalismo per conquistare nuovi mercati e opprimere il proletariato. Fu estensore, insieme con C. Rakovskij e L. Trotskij, dell’ordine del giorno approvato dalla conferenza dell’Internazionale socialista di Zimmerwald (5-8 sett. 1915), e alla successiva conferenza di Kienthal (24-30 apr. 1916) condannò il comportamento di quei partiti che avevano fatto prevalere la propria ragion di Stato sulla solidarietà internazionalista. La sua posizione non gli impedì di partecipare alle due conferenze socialiste dei paesi alleati sui problemi della pace, che si tennero a Londra nel 1918.
Nella serrata dialettica interna ai socialisti degli anni venti cercò, senza successo, di evitare la scissione fra riformisti e massimalisti. Dichiarato decaduto nel 1924 assieme agli altri parlamentari dell'opposizione, rappresentò come avvocato la parte civile nel processo relativo all'omicidio di Giacomo Matteotti, quando ormai il fascismo si consolidava al potere.
Insieme alla moglie Vera intraprese la via dell'esilio, continuando la sua attività di propaganda antifascista e divenendo rappresentante italiano all'Internazionale socialista. Rientrato in Italia, con la salute assai compromessa, fu membro della Consulta nazionale e della Assemblea Costituente. L'11 gennaio 1947 partecipò alla scissione di Palazzo Barberini divenendo presidente del Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (divenuto poi Partito Socialista Democratico Italiano).