Giovanni Pantaleo. Frate, patriota. (Castelvetrano 1832 - Roma 1879)
Giovanni Pantaleo (Castelvetrano 1832 - Roma 1879)
Frate, patriota
Nativo di Castelvetrano, di umili origini, a sedici anni, prese gli ordini francescani, da frate riformato. Studiò filosofia al convento di Salemi, a ventidue anni fu ordinato sacerdote, per poi laurearsi in teologia a Trapani ed in filosofia a Palermo. Per le qualità mostrate, per breve tempo insegnò filosofia morale al seminario arcivescovile di Palermo, salvo venirne allontanato per le sue posizioni non ortodosse. Venne, quindi, destinato a Naro, presso la Chiesa di Santa Maria di Gesù, divenendo predicatore.
Nel corso del 1859, quando l'opinione pubblica siciliana venne scossa dalle notizie delle vittorie franco-sarde della seconda guerra di indipendenza, egli ebbe un ruolo nella clandestina organizzazione di una sommossa siciliana contro i Borbone di Ferdinando II.
Ebbe la ventura di trovarsi, poco dopo lo sbarco a Marsala dei Mille, sulla via della loro marcia verso Palermo: prima dello scontro di Calatafimi (quindi in un momento di estremo rischio ed incertezza) si unì a Garibaldi, che seguì per tutta la spedizione dei mille. Nelle settimane successive egli ebbe un ruolo non secondario nella generale mobilitazione popolare che accompagnò, in Sicilia, la spedizione.
Per le alte benemerenze guadagnate, con Regio Decreto del 12 giugno 1861, il re gli concesse la Croce di Cavaliere dei Santi Maurizio e Lazzaro.
Con Garibaldi partecipò in Sicilia all’organizzazione della spedizione del 1862, conclusa all'Aspromonte. Non presente ai fatti, egli fu comunque tradotto in carcere a Napoli a Castel dell'Ovo. Subito amnistiato, raggiunse Garibaldi, ancora prigioniero nella fortezza di Varignano, presso La Spezia: lo assistette durante l'operazione per estrarre la pallottola alla gamba e, di lì, lo accompagnò a Caprera.
Negli anni successivi rese esplicito il proprio progetto scismatico, proponendo di istituire una “Chiesa del Popolo”, tanto da venire citato, nel dicembre 1864 per vilipendio della religione. Una circostanza che lo determinò ad abbandonare lo stato religioso.
Nel 1866 partecipò con il grado di sergente alla campagna di Garibaldi nel Trentino, nel quadro della terza guerra di indipendenza. Si distinse nella battaglia di Ponte Caffaro del 25 giugno e nella difesa del Monte Nota del 18 luglio conseguente alla battaglia di Pieve di Ledro. Al termine del conflitto venne promosso sottotenente, ricevendo l'encomio personale di Garibaldi.
Nel 1867 combattè come ufficiale di ordinanza a Monterotondo, poi a Mentana come aiutante di campo di Menotti. Nel 1870 seguì Garibaldi anche nella sua ultima impresa, nel quadro della guerra franco-prussiana. Giunto a Lione all'indomani della proclamazione della repubblica, si imbarcò il da Marsiglia per rilevare Garibaldi a Caprera, essendo di ritorno il 7 ottobre. Ne ebbe la nomina di capitano aiutante di campo e prese parte alla campagna che portò alla vittoriosa battaglia di Digione.
Il 22 giugno 1872, sposò a Lione, nella Francia ormai repubblicana, Camilla Vahè, suscitando un grande scandalo, fra amici e, tanto più, avversari politici. Dopodiché si trasferì a Napoli e, di lì, nel 1876, a Roma, ormai liberata dopo la breccia di Porta Pia. Visse con la madre, la sorella e la nuova famiglia. Dalla compagna Camilla ebbe tre figlioli (chiamati Elvezia, Clelia e Giorgio Imbriani, quest'ultimo dal nome dell'amico patriotta).
Il frate morì nella miseria più completa, non riconciliato con la Chiesa.