Quadriportico, braccio destro, arcata XXX
fu il più grande critico musicale italiano del Novecento. Studiò pianoforte e composizione con Alfredo Casella ed essenziali nella sua giovinezza furono anche i legami di amicizia con grandi letterati, quali Luigi Pirandello, Massimo Bontempelli, Antonio Baldini ed Emilio Cecchi, del quale sposò la figlia Giovanna, ben nota come Suso Cecchi d'Amico.
La sua etica rigorosa e priva di compromessi lo guidò non solo nel lavoro ma anche nella pratica quotidiana. Nel 1938-41 lavorò all’EIAR - ente radiofonico di stato - da cui si dimise quando seppe che in certe occasioni avrebbe dovuto indossare la divisa fascista. Dal 1941 al 1944 accettò l’incarico di curatore delle colonne sonore, alla Lux Film. Nel 1943-44 diresse Voce operaia, il settimanale dei cattolici comunisti. Tenne la critica musicale su molti giornali (da Vie nuove nel 1951-54 fino all’ Espresso, dal 1967 al 1989). Dal 1954 al 1957 tenne la direzione della sezione 'musica e danza’ dell’Enciclopedia dello spettacolo, lavorando ai primi quattro volumi. Dal 1963 ebbe la cattedra di storia della musica all’Università di Roma.
Per il Maggio musicale del 1967 ha tradotto l’Egmont di Goethe: ma restò deluso della regia di Luchino Visconti, al quale indirizzò una lunga lettera, che è uno dei suoi scritti teorici più significativi (ora in Un ragazzino all’Augusteo, 1991, pp. 19-27).
Fulcro della sua attività di critico fu il teatro musicale e innumerevoli sono i suoi scritti sull’opera e sul balletto. Sua tesi fondamentale, premessa di qualsiasi suo lavoro, è la necessità di un equilibrio tra le forme correnti dello stile e l’impulso creativo individuale, tra tecnica (linguaggio) e singola attitudine formale. Un simile assunto, in evidente contrapposizione con l’estetica crociana, restituiva centralità al ruolo della tecnica, dunque all’esecuzione e all’interpretazione. Gli operisti dell’Ottocento ai quali dedicò interesse costante - Verdi, Musorgskij, Bizet etc. - sono drammaturghi d’istinto, ognuno dei quali aveva sentito, interpretato ed espresso compiutamente lo spirito della cultura in cui era nato. Ognuno era stato in sintonia con l’anima del suo popolo. Coerente con questa logica fu la sua tesi – che lo isolò dalla critica prevalente - secondo cui la dodecafonia seriale fosse non un mezzo linguistico bensì un’astrazione, un espediente privato del compositore.
In definitiva le riflessioni socio-economiche di D’Amico furono tutt’uno col lavoro del critico musicale. Per lui la generale crisi dell’umanesimo del Novecento aveva prodotto e sviluppato un disagio, che da economico come era all’origine, era diventato antropologico: il valore di scambio, cioè il principio innaturale del commercio e del consumo, stava sostituendo il valore d’uso, che è la relazione naturale tra oggetto e bisogno umano ed è alla base dell’esperienza estetica.
Il sepolcro a edicola esagonale – dove riposano anche la moglie Suso Cecchi D’Amico e il padre Silvio D’Amico – è opera di Luca Carimini (1830-1890) e mostra il repertorio decorativo neo-rinascimentale, consueto nelle opere dello scultore e architetto, declinato in chiave dichiaratamente quattrocentesca. Carimini, autore di numerose opere al Cimitero del Verano, realizzò per il collega e amico Salvatore D’Amico (1819-1901) anche il palazzo di famiglia in Via Nazionale.