Vecchio Reparto, Riquadro 34
Figlia di un direttore di scena del Covent Garden, trascorre l'infanzia a Londra. Studia pianoforte e arpa e canto con i maestri A. Casaloni, A. Fugazzola, ed A Callery Vivioni, in seguito al trasferimento a Torino. Dopo il debutto ad Arezzo nel 1910 con la Manon di Massenet, si mette in luce a Milano eseguendo fra l'altro la Manon di Puccini per il suo esordio alla Scala nella stagione 1912-1913. Centrali nella sua carriera sono gli anni americani: il 4 dicembre 1916 debutta infatti con la Tosca e al fianco di Enrico Caruso al Metropolitan di New York, dove viene confermata ininterrottamente fino al 1922. Successivamente è presente quale artista anche all’Opera di Chicago. I suoi successi la conducono nei teatri di Buenos Aires (memorabili le esecuzioni di Turandot nel 1926 e Norma nel 1927) e Rio de Janeiro, dal 1923 all'Opera di Parigi, alla Scala di Milano (del 1926 è la Traviata sotto la direzione di Arturo Toscanini) e nelle stagioni 1927-1928 e 1934-1935 al teatro dell'Opera di Roma. Nel suo repertorio, che va dal genere lirico al drammatico, figurano anche la Bohème, il Trovatore, l’Aida, la Forza del destino, la Cecilia di Refice. La strepitosa comunicativa del suo accento può trasmettere veemenza ad un “pianissimo” o manifestare la sofferenza più acuta con una semplice smorzatura: tutto quasi in maniera impercettibile e allusiva. Con la Muzio il canto riconquista il valore stilistico ed espressivo che gli competeva: pur non essendo una virtuosa, dispone di ampie e ricche sfumature della voce che le consentono una grande versatilità nelle interpretazioni. Dignità e nobiltà, misuratamente dosate, sono i tratti in comune dei suoi personaggi sebbene la soprano sia in grado di rendere anche con audacia la nota aggressiva ed eroica. La Muzio calca le scene con successo, in anni in cui dopo il Verismo si afferma un movimento di ritorno al melodramma romantico, cui è capace di adeguarsi anche attraverso valori stilistici quali la morbidezza di emissione, la rotondità del suono, l'ampiezza del fraseggio, l'eleganza del portamento e dei legati. Nonostante sia considerata il soprano italiano di maggiore rilievo dopo R. Storchio con un successo di chiara fama, la Muzio non cede mai al divismo, restando una donna solitaria, schiva e quasi timida. Negli ultimi anni una malattia al cuore indebolisce il suo timbro con alcune conseguenze spiacevoli sull'intonazione che le valgono l'esclusione da alcuni grandi teatri. Forse questo, unito ad altre disavventure personali, contribuisce ad affrettarne la fine nel 1936 a 47 anni. Nel monumento che le viene dedicato qui al Verano, lo scultore Pietro Canonica raffigura ad altorilievo, con delicatezza e maestria una donna dolente panneggiata - intesa come figura allegorica dell'Armonia – e sullo sfondo alcune canne d'organo, evidente riferimento all'attività della Muzio. Per celebrare la famosa artista, dopo la sua morte, un Comitato Promotore si mosse per ottenere la concessione gratuita di un’area all’interno del Verano e forse la scelta cadde su Pietro Canonica, un autore noto anche per le sue frequentazioni musicali. Egli infatti oltre a dedicarsi alla scultura, compose melodrammi, poemi sinfonici e liriche per canto e pianoforte. Pietro Canonica (Moncalieri/TO 1869-Roma 1959), raffinato ritrattista (ma anche musicista, architetto e pittore), fu uno degli scultori più ricercati della buona società di inizio secolo. Nato a Moncalieri nel 1869, dimostrò un talento precocissimo: nel 1881 entrò all’Accademia Albertina di Torino, dove seguì i corsi di Tabacchi. Di questa frequentazione accademica risentono le sue prime opere, ispirate alla tradizione verista del maestro e di Vela. Pochi anni dopo, nel 1884, collaborò con Tabacchi nell’esecuzione della tomba Sineo a Torino. Nel 1886, con un suo studio indipendente, Canonica ottenne i primi riconoscimenti con l’Orfanella (cimitero di Mondovì, tomba Bongiovanni) e con la scultura Dopo il voto (Torino, Galleria Civica d’Arte Moderna) che, replicata in marmo, ottenne la medaglia d’oro al Salon parigino del 1893. Lo scultore riscosse presto crescente successo nelle principali esposizioni italiane ed estere. Nel 1893 prese parte alla commissione per la realizzazione del monumento a Vittorio Emanuele II, per il quale eseguì la Fontana del Tirreno a destra della scalinata (1908). Opera di Canonica è anche un inusuale monumento al Mulo per villa Borghese. Il suo stile, formatosi sulle correnti realiste, non fu esente da profondi richiami al Rinascimento toscano, soprattutto ai Della Robbia e a Desiderio da Settignano, esempi che assecondavano la naturale inclinazione dello scultore a una perfezione delicata ed elegante. Con l’inizio del nuovo secolo, si moltiplicarono le commissioni: Canonica divenne ritrattista dei circoli mondani e aristocratici europei (tra gli altri, nel 1903, della casa reale inglese) ed eseguì monumenti funebri (trentacinque per la sola città di Torino) o commemorativi, molti dei quali per la Russia zarista. Crebbero nel contempo i riconoscimenti pubblici: fu professore e direttore dell’Accademia di Belle Arti di Roma e ottenne, nel 1910, la cattedra all’Accademia di Venezia. Negli ultimi quaranta anni di attività, Canonica ottenne commissioni illustri in Italia (monumenti a Benedetto XV, del 1928, e a Giovanni Bosco, del 1936, nella basilica di San Pietro) e all’estero (monumenti commemorativi in Turchia, Egitto, Persia, Argentina).Dopo l’ultima guerra, realizzò soprattutto opere di carattere religioso, tra cui le porte per l’abbazia di Montecassino. Nel 1950, fu nominato senatore a vita per meriti artistici. Morendo, nel 1959, lasciò a Roma, nel museo Canonica a villa Borghese, la più completa raccolta esistente delle sue opere, tra le quali si ricorda il suggestivo gruppo scultoreo intitolato Abisso.