Tomba trilussa

Tomba trilussa

Trilussa (Carlo Alberto Salustri), poeta (Roma 26 ottobre 1871 - 21 dicembre 1950

Rampa Caracciolo, portico

Di fronte al centro del portico, è collocata la tomba di Trilussa, costituita da un prezioso pezzo archeologico, proveniente dall’Antiquarium comunale e donato dal Comune di Roma per il sepolcro del grande poeta dialettale di Roma. Si tratta di un sarcofago paleocristiano strigilato con al centro la figura del Buon pastore, derivazione dal pastore crioforo (che porta l'agnello), che nell'arte pagana allude alla filantropia e nell’arte cristiana evoca la figura di Cristo. Agli angoli del sarcofago due rilievi di testa leonina che sbrana la preda.

Il sonetto sulla tomba del poeta,
Un’ape se posa su un bottone de rosa
lo succhia e se ne va, la felicità è ‘na piccola cosa
ci offre un “rimando cifrato” alla donna più importante che segnò la sua vita, dopo l’amata madre. La rosa è infatti un riferimento a Rosa (Rosaria) Tomei (1916-1966), la governante, segretaria, perpetua, fantesca, cuoca, infermiera, complice, alter ego, allieva, compagna di Trilussa. Rosa era salita tredicenne dalla Ciociaria: rozza e analfabeta, ma arguta, forte e spiritosa. Conquistò la fiducia di Trilussa fino a diventarne il punto di riferimento indispensabile di una vita. Non solo curava la casa e i gatti, ma arrivò presto a scegliere personalmente l'abbigliamento del sor padrone, tenerne la corrispondenza, scrivere addirittura sonetti apocrifi e firmare autografi in vece sua da scambiare con generi alimentari in tempi di guerra. Divenne il suo filtro col mondo, intrattenendo gli ospiti graditi e sbarazzandosi degli altri, per proteggere infine il suo isolamento forzato dalla malattia degli ultimi anni. Non solo Rosa aveva imparato in fretta a leggere e scrivere, mandando a memoria tutti i versi del suo mentore, ma ella stessa s' era dedicata a comporre sonetti in stile simile. «Sei venuta anarfabbèta e mo' pure la poetessa voi fa' ...» la canzonava Trilussa e in realtà la critica recente ha riconosciuto il suo stile e la sua identità dietro una parte della tarda produzione letteraria del poeta romano. La sua passione da bambina, in verità, era il canto e, appena giunta nella capitale dal paesino di Cori in provincia di Latina, si esibiva intonando stornelli insieme ai suonatori ambulanti nella trattoria degli zii al quartiere Flaminio: il padre Romualdo aveva brigato per farle conoscere Petrolini, affinché fosse il grande attore ad assumerla, e proprio Trilussa, abituale avventore dell'osteria, avrebbe dovuto fare da tramite. Ma, dopo qualche mese di apprendistato a casa sua, lo scrittore si convinse che Petrolini avrebbe dovuto cercarsi un'altra domestica: «Io de qua nun me movo ». Dopo la morte di Trilussa, Rosa si batté invano per conservarne la memoria, ma non riuscì a fare dell'abitazione un museo come avrebbe voluto, nonostante il sostegno di molti esponenti della cultura romana, e cinque anni dopo la morte del poeta fu infine sfrattata.

Carlo Alberto Salustri (Trilussa) (Roma 1871-1950) aveva anagrammato fin dall’infanzia il suo cognome in Trilussa. Terminata la scuola Carlo si appassiona alla lettura dei sonetti del Belli e di Luigi Zanazzo e pubblicò su «Il Rugantino» il suo primo sonetto L’invenzione della stampa. Nel 1915 Trilussa si stabilì, dichiarandosi pittore, nel Palazzetto Corrodi, riservato ai pittori. Custodì e continuò ad accumulare un’infinità eterogenea di oggetti, trasformando presto il suo stanzone-studio in una casa-museo. Alto poco meno di due metri, grandi mani e occhi neri, baffi curatissimi e cravatte vistose, Trilussa, frequenta salotti letterari e caffè alla moda. Nel 1889 pubblica su «Il Rugantino» la sua prima opera, dedicata alle donne, Le stelle di Roma. Nel 1890 compila due almanacchi romaneschi intitolati Er mago de Borgo; nel 1895 Quaranta sonetti, illustrati da Gandolin; nel 1896, presso l’editore Folchetto, Altri sonetti. Nel 1920 pubblica, presso l’editore Voghera, Le favole romanesche e Caffè concerto. Nel 1930 l’editore Formiggini gli pubblica alcune poesie giovanili intitolate Campionario e un piccolo volume di aneddoti chiamato Pulviscolo. Ancora, nel 1932 La Mondadori pubblica le raccolte di Trilussa: Lupi e agnelli, Le favole, Nove poesie, Le cose, I sonetti, Le storie, Ommini e bestie.
Durante il regime fascista Trilussa rifiuta la tessera politica, così pure la definizione di antifascista, la sua opposizione al regime è nota ma silenziosa. Scrive testi per Petrolini e Fregoli, ma iniziano i problemi di salute e quelli economici, che si accentueranno col passare del tempo.
Nel 1934 ancora la Mondadori gli pubblica Cento favole (1934), Libro muto (1935), Duecento sonetti (1937), Lo specchio e altre poesie (1938) e La sincerità e altre fiabe nove e antiche (1939). Nel 1944 esce la sua ultima raccolta, Acqua e vino. Poco prima di Natale, il 21 dicembre 1950, all’età di ottant’anni, moriva; venti giorni prima il secondo presidente della Repubblica Luigi Einaudi lo aveva nominato senatore a vita, per aiutarlo a migliorare il suo basso tenore di vita a causa della povertà. Il Ministero della Pubblica Istruzione imponeva il vincolo di tutela sulla casa Trilussa, ma le proprietà Corrodi messe all’asta, venivano aggiudicate dalla società Fono-Roma, laboratorio per la sonorizzazione di film, intenzionate a sbarazzarsi dello studio il prima possibile. Lo studio sarà salvato, dopo mille peripezie, snaturato e decontestualizzato, in Palazzo Braschi nel 1959 e infine, dal 1980, al Museo di Roma in Trastevere.

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